Epicuro è un filosofo di età ellenistica (Samo 342 a.C. – Atene 270 a.C.). Epicuro mette al centro della sua filosofia la ricerca della felicità, trovando la strada per il suo raggiungimento soprattutto nel perseguimento delle virtù interiori. Ciò nonostante, la sua dottrina è stata nel tempo fraintesa e oggi con il termine epicureismo si intende per lo più l’atteggiamento di chi pone come fine della propria esistenza il godimento dei piaceri materiali.
La sua famosa “Lettera a Meneceo” sulla felicità rappresenta una summa della sua filosofia. Si tratta di un testo tanto antico quanto incredibilmente attuale da cui trarre ispirazione per cercare la nostra di felicità. Ti riporto i passaggi a mio avviso più rilevanti della lettera (traduzione a cura del professor Roberto Contessi, tratta dal libro “L’Attimo fuggente e la stabilità del bene” di Salvatore Natoli edito da EDUP.)
“Caro Meneceo,
sappi che la conoscenza della felicità non richiede un’età precisa, perché a qualsiasi età è piacevole prendersi cura del benessere della propria vita. Chi sostiene che non è ancora giunto il tempo di dedicarvisi, oppure che oramai è troppo tardi, crede che il momento giusto per farlo è alle nostre spalle oppure davanti a noi […]
Ti mostrerò, dunque, quello che bisogna fare per ottenere la felicità, perché la sua presenza soddisfa la nostra vita, mentre la sua assenza ci spinge a fare di tutto per ottenerla. Rifletti sulle cose che ti raccomando e, allo stesso tempo, mettile in pratica: sono fondamentali per una vita ben realizzata.
[…] abituati Meneceo a pensare che la morte non è nulla per noi, perché le sofferenze o i piaceri si acquisiscono con i sensi; la morte invece non è altro che l’incapacità di avere coscienza. La consapevolezza che la morte non significa nulla per noi rende godibile la mortalità della vita, scacciando l’inganno del tempo infinito che è provocato, invece, dal desiderio d’immortalità. Non c’è nulla di terribile nel vivere per chi sa che non c’è nulla da temere nel non vivere più…
Invece, vedi Meneceo, la morte – considerata il più atroce di tutti i mali – non esiste per noi. Quando noi viviamo, la morte non c’è, quando c’è lei non ci siamo più noi. […]
Ricordiamoci poi, Meneceo, che il futuro sì ci appartiene, ma solo in parte. Solo così possiamo aspettarci che non si realizzi completamente tutto ciò che vogliamo, ma anche sapere che dobbiamo svolgere la nostra parte. Così pure teniamo presente che solo alcuni desideri sono naturali e profondi, mentre molti altri invece sono inutili; e fra i naturali solo alcuni sono bisogni necessari.
Alcuni di questi sono fondamentali per la felicità, altri invece per il benessere fisico, altri ancora per la stessa sopravvivenza. Una conoscenza attenta dei desideri guida ogni nostra scelta, come ogni nostro rifiuto, al fine di raggiungere il benessere del corpo e la perfetta serenità della mente. Questo è il compito della vita felice e a questo noi indirizziamo ogni nostra azione per fuggire il dolore e l’angoscia. La serenità placa ogni bufera inferiore, perché il nostro organismo vitale non ha bisogno di nient’altro per il bene della persona.
[…] sarebbe errato credere che è giusto volere qualsiasi piacere. Talvolta conviene tralasciarne alcuni, da cui può venirci più male che bene, e invece considerare che alcune sofferenze sono preferibili ai piaceri stessi, se possiamo provare un piacere più grande dopo averle sopportate a lungo. Ogni piacere dunque è bene per sua intima natura, ma non conviene averli tutti. Allo stesso tempo, il dolore è sempre male, ma non tutti i dolori sono sempre da evitare. Gli uni e gli altri vanno giudicati in base alla considerazione dei danni e dei benefici, così come certe volte sperimentiamo che il bene si rivela per noi un male, invece il male un bene.
Inoltre, Meneceo, considero una gran cosa l’indipendenza dai bisogni, non perché ci dobbiamo accontentare sempre di poco, ma perché possiamo essere soddisfatti anche di questo poco se ci capita di non avere molto. Sono convinto che l’abbondanza si gode con più dolcezza se ne siamo meno dipendenti. In fondo, non è difficile trovare ciò che veramente serve, mentre le cose inutili si presentano sempre difficili da conquistare. […]
Quando dico che il piacere è il fine della vita felice, non intendo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che non conoscono le nostre idee, le osteggiano in modo fazioso o le interpretano male. Il piacere che intendo aiuta a non soffrire con il corpo e ad essere sereni con la mente…
In realtà, Meneceo, il principio e bene supremo nella condotta è la saggezza, che appunto guida la stessa filosofia, madre di tutte le altre virtù. Essa ci insegna a comprendere che non c’è vita felice senza che sia saggia, bella e giusta, né vita saggia, bella e giusta che sia priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili […]
Mi raccomando, Meneceo: rifletti, quando ti capita, di giorno oppure di notte, su quello che ti ho detto e su altre cose simili. Fallo da solo o con chi ti è vicino e sarai sempre libero dall’angoscia. Vivrai come un dio fra gli uomini, perché l’uomo che vive fra i beni immortali non sembra più neanche mortale.”